“Un mezzo per sostenere le lotte e i movimenti sociali ma anche per raccontare storie intime e personali”. Così Eleonora Privitera descrive il suo lavoro e la sua passione per la vita: il documentario. Noi di Cronache Mondane oggi abbiamo fatto due chiacchiere con lei.

Eleonora Privitera si trasferisce a New York per intraprendere la carriera di documentary film maker. Ventottenne originaria di Anzio, dopo una formazione accademica in Antropologia Sociale ed un Master di ricerca presso la “London School of Economics and Political Science”, si allontana dal mondo accademico perché troppo autoreferenziale e teorico e decide di iniziare a sperimentare il video come canale espressivo ed artistico. Il punto di svolta arriva a seguito del suo primo corto-documentario “An Imminent Threat” quando capisce che vuole specializzarsi nel cinema documentaristico.
Quando si allontana dal mondo accademico perché troppo autoreferenziale e teorico, Eleonora inizia a sperimentare il video come canale espressivo e artistico e trova nel documentario la perfetta combinazione tra arte, ricerca e indagine sull’essere umano e impegno sociale.
Eleonora, com’è vivere nella Grande Mela? In che modo hai passato le feste a New York?
All’inizio, nonostante avessi già vissuto in grandi città come Londra e Buenos Aires, è stata molto dura vivere a New York.
Infatti, i primi mesi di vita sono stati molto faticosi rispetto alle altre città. E’ una città dispersiva, frenetica e competitiva e per questo mi ci sono voluti un pò di mesi prima di trovare il mio equilibrio. Oggi, però, sento di aver costruito delle basi solide per continuare ad investire qui il mio futuro e la mia carriera. Ho passato le vacanze in compagnia di pochi amici, facendo pranzi e cene, visitando musei e facendo lunghe passeggiate nei parchi e nelle strade innevate della città.

Cosa rappresenta per te il documentario?
Per me non è soltanto un mestiere ma è anche un modo di vivere e di stare al mondo. Penso che il documentario rappresenti un canale per promuovere un cambiamento politico e sociale. Diffondere consapevolezze su questioni sociali e ambientali, con il fine di ispirare un reale cambiamento nel mondo, è ciò che ha sempre guidato le mie scelte. Infine, se adoperato un approccio etico e partecipativo a stretto contatto con le persone, è un mezzo in cui ognuno ha l’opportunità di rappresentarsi e raccontare la propria storia.
Qual’è stato il tuo primo corto-documentario? Ci parli della trama?
An Imminent Threat è stato il mio primo corto documentario con cui ho avuto i primi notevoli successi. Parla dei rischi che l’apertura delle industrie petrolifere avrebbe in una delle zone più incontaminate del mondo, le isole Vesterålen, nel nord ovest della Norvegia. Il personaggio principale è Yngve, un pescatore/attivista per i diritti dell’ambiente, la cui storia si intreccia con “la minaccia imminente” delle estrazioni petrolifere.

Quanto tempo hai impiegato per completare “An Imminent Threat”? Con chi hai lavorato al progetto?
Ho realizzato questo corto in circa 6 mesi, durante il master in Fotogiornalismo presso Officine Fotografiche di Roma; il lavoro è stato supervisionato principalmente da Emiliano Mancuso e nel montaggio da Andrea Tarquini. Sono andata due volte in Norvegia, nello specifico ad Andenes dove sono rimasta circa 6 settimane in tutto. Entrare in contatto con la comunità dei pescatori del villaggio è stato facilitato da mia sorella, che in quel periodo viveva e lavorava ad Andenes. Infine, ho avuto il sostegno di Greenpeace Italia che mi ha sostenuta nel diffondere e pubblicare il lavoro.